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n u o v i m e d i @ p e r r a c c o n t a r e

Mese

febbraio 2016

L’umana artificialità

SCHIZZo

Il corpo umano è composto per grandissima parte da acqua, circa il 75% nei giovani e il 50% negli anziani. La mia storia è un po’ diversa da questa, sin da quando sono nata, il mio corpo è stato, a momenti alterni, composto per la quasi totalità di acqua. La vita mi ha donato sensazioni di continua pienezza o estremo vuoto, a secondo delle necessità degli altri. Come un po’ tutti, io dipendo da qualcuno o da qualcosa, che non sempre è identificabile ma che ha la sua ragion d’essere. Quando incontrai per la prima volta Elodie, ero abbastanza piccola e ricordo che tutto avvenne in maniera rapida e confusa. Arrivai a casa sua, dopo giorni e giorni di preparazione, la sua voce mi rimbombava dentro e non capivo il perché. Con modi graziosi ed eleganti, Elodie mi diede un posto dove stare; era uno spazio del tutto nuovo con ampie vetrata ed una vista mozzafiato. Trascorrevamo sempre più tempo insieme, eravamo sempre presenti l’una per l’altra, per darci manforte. Ammetto che pur essendo esternamente fredda, ho un cuore caldo e pronto ad aiutare. Ricordo che una volta, Elodie era molto tesa, venne subito da me, mi rivoltò come un calzino, prese tutta la mia essenza e ritornò nel suo letto con aria rilassata. Si sa, condividere qualcosa con gli altri è sempre meglio di tenersele per sé. Più e più volte il pomeriggio, davanti ad una tazza di tè, ascoltavo Elodie e le sue amiche, discutere degli argomenti più disparati, senza però intromettermi in nessuno dei loro. Non sempre riuscivo a comprendere perché alcune cose potessero destabilizzarle, o perché altre li dessero sollievo, sapevo solo di stare bene lì con loro. I giorni passarono molto in fretta, senza che neanche ce ne accorgessimo, c’era pace in casa e la si viveva pienamente. Un giorno, però, Elodie portò in casa un grosso cagnolone maldestro, che iniziò ad accudire, trascurando tutto il resto. Da quel momento in poi, furono pochi i momenti passati insieme, mi sentivo sempre più vuota e sapevo che nessuno avrebbe potuto fare niente. L’apice arrivò quando, un giorno, con estrema distrazione, mi fecero cadere, rompendomi in mille pezzi. Solo lì capii che ero diversa, non ero come gli altri. Ero diventata solo, un’inutile teiera.

Roberto De Santis.

La teiera di Pablo

Short Story by Ivan Cannistraro

Nelle grandi città del sud del mondo, le favelas sono una realtà amaramente consolidata. Numerose baracche ammassate e in equilibrio fra loro sono lo sfondo della realtà urbana di molte metropoli nel mondo. A Rio in una di queste favela, Pablo, un ragazzo come gli altri, cresciuto tra quelle realtà spesso di grande disagio umano ed economico, trovò un giorno per caso qualcosa che in quell’ambiente non era solito vedere: una teiera.

favela

A ridosso della discarica di Rio, spesso Pablo e i suoi amici andavano per trovare qualcosa di utile per casa, o semplicemente per giocare. Sperando di rinvenire qualcosa utile per la casa e i suoi 5 fratelli, lo sguardo del giovane Pablo da poco tredicenne venne catturato da un bagliore proveniente un sacco nero a ridosso di una montagna di rottami.

Separato dal gruppo dei suoi pochi amici che quel giorno insieme a lui si erano inoltrati nella grande discarica, Pablo avvicinandosi al sacco vide che il bagliore veniva da una tazzina da thè molto raffinata che sporgeva. Sorpreso trovò che nel sacco, insieme a molta carta forse da imballaggio, vi era un intero set di tazzine complete di zuccheriera e cucchiaini e sul fondo della busta una scatola marrone rimasta chiusa ermeticamente. All’apertura dell’imballaggio lo sguardo di Pablo si fece sgranato nel vedere una bellissima teiera arricchita nei minimi dettagli da azzurri motivi floreali, un coperchio con fasce argentate e fiori di ceramica sulla sommità, insomma un oggetto di finissima fattura che catturò subito l’attenzione del giovane. Pensando di poter racimolare qualcosa con quel bottino raccolse tutto portando con se il pacco con il prezioso contenuto pensando che avrebbe potuto guadagnare dal servizio da thè, ma quella teiera no. Doveva rimanere sua.

Ricongiunto alla sua comitiva non fu facile tenere nascosto il contenuto del sacco ai suoi curiosi e vivaci amici, spaventato della possibilità che alla vista di un bene così apparentemente prezioso avrebbero potuto impadronirsene con le cattive.

Al ritorno a casa Pablo mise il sacco sotto il suo letto nella camera che condivideva con altri 2 fratelli maggiori, e si reco a cena nella sala centrale della loro umile casa.

Solo quando ormai tutti dormivano nel cuore della notte, Pablo aprendo il sacco nero mise in ordine tutto il servizio da thè sul suo letto con la deliziosa teiera al centro. La mente del giovane viaggiò nell’immaginare a chi sarebbe dovuta appartenere questi oggetti signorili e perchè se ne fossero liberati nonostante fossero in buono stato e non sembravano rovinati. Dopo aver nascosto la busta con le sue altre cose sotto il letto, si addormentò cercando di immaginare quali principi e regine avessero fatto colazione con quel servizio di porcellana.

teieraIl giorno seguente aspettando un’ora del giorno più afosa e solitaria, Pablo preparò del thè prendendolo da quelle poche scorte nella cucina, ricordando che quando era piccolo la madre lo preparava per tutti i bambini della casa e che erano bei momenti da passare con la sua famiglia. Dopo essersi scottato col bollitore con cura versò il contenuto nella teiera sul letto versando per errore parte del the sul suo letto formando una larga macchia. Quando finalmente ebbe preparato la sua merenda cercò qualcosa nella casa da servire con la tiepida bevanda. Zucchero non ne avevano ma trovò un rimasuglio di biscotti in una busta quasi vuota e qualche caramella nelle cose del fratello più piccolo posandole con cura su un piattino del servizio. Quando versò con cura nella tazzina il the successe qualcosa di strano…

Quel the solitario nella sua stanza, per quanto amaro, fu per Pablo un momento unico in cui il mondo e i chiassosi rumori di Rio sembravano quasi aqquietarsi e fermarsi, il corpo del giovane si distese come se tutta la tensione muscolare venisse rilasciata. Un respiro profondo dopo aver dato un sorso di the gli fece placare la mente e per la prima volta da quando aveva memoria, Pablo si sentiva in pace in uno spazio tutto suo dove non c’erano problemi o pensieri, dove tutto appariva immobile ed eterno.

Dopo quell’esperienza Pablo volle condividere con la sua famiglia un’ora per il thè almeno una volta alla settimana, e decise che non si sarebbe più separato da quel magico oggetto che gli fece provare qualcosa di unico e se anche per gli altri il the con Pablo divenne un occasione per mangiare e stare insieme, per lui fù sempre qualcosa di più. Un momento di assoluta pace.

La Teiera

un racconto di Emanuela Coniglio

 

Ti dico che non è come le altre.-

-Dimostramelo allora – disse la ragazzina al nonno, che in preda a una delle sue, seppur rare, stravaganti manie di inventare cose, se ne stava in piedi, barcollante su una sedia vicino la credenza di cristallo.

– Ma bambina mia, non sempre le cose che accadono, sono visibili all’occhio delle persone-. Il nonno, che dal canto suo, di esperienza ne aveva collezionata molta, per raccontare una delle sue fantasmagoriche storie, era solito preferire i momenti in cui la nipote tornava da scuola. Alice, una frizzante e alquanto arguta bambina, o meglio, ragazzina di 9 anni, ogni giorno, alla stessa ora, usciva da scuola da sola. Percorrendo un viale tutto dritto, raggiungeva quella che per molti era una palazzina diroccata, per lei era semplicemente casa.

Una volta varcata la soglia del cortile esterno, Alice entrava dal portoncino che una volta, era stato di un blu cobalto simile al mare, mentre adesso era solo un portone piccolo e un pochino sgangherato, che nonostante gli anni passati, portava ancora a termine il proprio dovere, evitando che entrassero animali nello stabile, e in un certo senso proteggendo i segreti e le storie avvolte nella fantasia, del signor Raimondi, l’anziano nonno che per quasi 68 anni aveva avuto in gestione un antico e famigerato museo dei giocattoli, un’istituzione per quella piccola città avvolta nello smog.

Ogni giorno, quella ragazzina di appena un metro e venti, trenta se consideriamo la testa ricolma di capelli ricci, saliva al piano quarto, della palazzina al numero 50, per passare il pranzo e il relativo pomeriggio, a casa del nonno.
I due si tenevano compagnia, evitando alla famiglia Raimondi, di prendere una balia al nonno, e una babysitter per Alice.

Ogni pomeriggio il nonno provava, compiti permettendo, a raccontare una storia diversa alla nipote, un po’ perché lui di storie, ne aveva davvero tante in testa, un po’ perché credeva ancora nel valore della trasmissione. Per lui tramandare, era un lavoro prezioso che andava preso con la massima serietà, affinché le nuove generazioni, Alice compresa, comprendessero il valore della vita così come la percepivano. Non smetteva mai di ripeterle, che se lei oggi poteva vivere con le comodità che conosceva, era solo perché qualcuno, prima di lei, aveva lottato e lavorato per questo.

Quel giorno in particolare il nonno aveva fatto uno strano sogno. Un sogno che lo aveva riportato indietro di molti anni, in un tempo così remoto che faceva quasi fatica a ricordare con lucidità. Per paura di dimenticare prima della sera, prese il diario e l’astuccio della nipote e salendo con fatica sulla sedia in salotto, li nascose abilmente sopra la credenza di cristallo.

Nonno ridammi le mie cose – disse Alice mentre guardava il nonno dal basso verso l’alto.

Questo non è proprio uno di quei pomeriggi in cui vale la pena studiare tesoro mio .-

Nonno non vorrai ricominciare con una delle tue storie vero? Domani ho il compito di matematica, e non posso proprio sbagliarlo .-

Aiutami a scendere e ti prometto che varrà la pena ascoltare cosa ha da dirti questo vecchietto in bilico su una sedia – a quel punto Alice, impietosita dalla situazione, e abituata ai capricci del nonno decise che se lo avesse assecondato, avrebbe potuto rimettersi a studiare al più presto.

Va bene va bene, ma diamoci una mossa nonno, non ho tutta la giornata – disse un po’ scocciata la ragazzina.

Andiamo in cucina. È da lì che dobbiamo iniziare il nostro viaggio.- Un po’ titubante Alice segue il nonno per il corridoio fino alla cucina, che una volta era stata la zona sacra e invalicabile di nonna Agata, un luogo dove i profumi più inebrianti e i momenti più gustosi avevano avuto luogo. Ora che la nonna non c’era più, la cucina veniva usata pochissimo, il nonno infatti, preferiva di gran lunga scaldare il piatto del giorno che la nuora gli portava la mattina, nel fornetto in soggiorno, et voilà il pranzo era servito.

Allora, da dove comincio, ah si, no anzi no, vabbè ma forse è meglio…- pensava ad alta voce il nonno
– Nonno allora? Basta che cominci!- incalzava Alice.

Un attimo di pazienza tesoro, non sono così veloce come voi altri ragazzi sempre di corsa !-

Devi sapere, prima che comincio Alice, – e il tono della voce del nonno si fece subito più serio, – che quello che sto per raccontarti, non pensavo che lo avrei ricordato più. –

Mi dispiace ma non capisco a cosa ti stai riferendo- disse Alice alquanto incuriosita.

Devi sapere Alice, che quando io e tua nonna eravamo solo due giovani compagni di scuola, ci accadde una cosa molto strana, che mai mi era tornata più in mente fino ad oggi. Sento che questo è il momento giusto per parlarti di quello strano pomeriggio in cui io e tua nonna, che essendo anche vicini di casa, tornavamo da scuola, insieme, praticamente tutti i giorni, incontrammo a metà strada tra la scuola e il quartiere dove abitavamo, un signore alto e di bell’aspetto, cilindro in mano e bastone dall’altra. Rimasti pressocchè attoniti da quella figura alquanto strana, non facemmo in tempo a cambiare strada che quello subito tirò fuori dalla mantella che lo avvolgeva, uno strano oggetto, a metà tra una caraffa e un bollitore dell’acqua, una specie di teiera. Come se lo strano uomo avesse sentito i nostri pensieri, ci rispose subito che quella non era una teiera come le altre, era speciale.
Ci disse che lui non poteva più tenerla, e che doveva regalarla a qualcuno che come lui, sognava spesso, ma soprattutto che alla mattina successiva ricordava ancora una volta ciò che aveva sognato. Ma il nonno erano tre sere di fila che faticava a ricordare i suoi sogni, per questo era il momento che la teiera passasse a qualcun altro. – Questa teiera fa avverare i vostri sogni. –

Quello che potete sognare, potete farlo avverare! –

Semplicemente scrivendo, una volta svegli, il vostro sogno su un foglietto di carta, dopo averlo scritto mettetelo nella teiera et voilà, il sogno si avvererà!-

Dopo un attimo di pausa, il nonno, stanco per la fatica di essersi ricordato l’ultimo sogno sfocato della notte precedente, si accascia sulla sedia in cucina e guardando fissa la nipote attende una sua risposta. Alice, di tutto lo strano racconto del nonno, non ha chiara solo una cosa, e cercando le parole più giuste, prova comunque a trovare il coraggio di chiederlo: – Cosa è successo all’uomo col cilindro dopo avervi dato la teiera? – In realtà Alice nel momento esatto in cui il nonno aveva terminato il racconto, era stata percorsa da un brivido freddo, di quelli che ti arrivano con il vento freddo quando irrompe dalla finestra aperta.
Il nonno, commosso per l’argutezza della nipote, dalla quale era certo di aspettarsi sempre la domanda più opportuna, piegando la testa da un lato si avvicina alla chioma folta di Alice, e le sussurra all’orecchio quello che, era palese e allo stesso tempo così triste da dire a voce alta.

Con una lacrima che ormai le viaggiava sulla guancia sinistra, Alice abbraccia il nonno con una tale forza, da lasciarlo quasi senza fiato, uno di quegli abbracci che sanno d’amore e tristezza, un abbraccio fin troppo maturo per una ragazzina di nove anni.
Il nonno ormai stanco, felice di aver portato a termine il compito tramandatogli dall’uomo col cilindro, se ne va soddisfatto verso la camera da letto, felice di aver vissuto una vita piena di cose straordinarie, ma ancora più felice di sapere, che ora quella possibilità di vivere una vita straordinaria, lui l’aveva donata alla persona che, dopo la sua adorata Agata, era di gran lunga il suo amore più grande.

Foto di Backstage - 2014 ©Darcy Isabel Continanza

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La Teiera

Nancy stava sempre lì. Su quel maledetto scaffale, in alto, sopra la dispensa.

Che faceva? Nulla! Stava tutto il santo in giorni in piedi, ed era stufa di stare in quella strana posizione.

Neanche era presa tanta in considerazione, la famiglia presso la quale abitava, l’aveva acquistata per pochi soldi in un negozietto, solo perché ricordava alla padrona di casa la sua infanzia in Inghilterra.

Nancy, infatti era una teiera di porcellana, cento per cento inglese. Adesso, la nostra Nancy, non era affatto felice, non tanto perché veniva usata di rado da quella donna, che tanto sembrava averla desiderata all’interno del negozio, ma perché semplicemente, non voleva essere più una teiera.

Da lassù in alto, vedeva la credenza, con tutti i bellissimi piatti, che stavabriccono lì, sdraiati a pancia all’aria, comodi, potevano perfino guardare il soffitto della cucina, ma soprattutto, venivano puliti ed asciugati accuratamente dai membri della famiglia. Ma non solo, dovevate vedere come si era arrabbiata la mamma di Medredith, la piccola bambina della casa, quando aveva rotto un piatto.

La mamma aveva fatto tanti strilli, e aveva rimproverato la piccolina. Era palese che era molto affezionati ai piatti, mentre nessuno si curava più della bella porcellana, se non quelle rare volte che alle cinque venivano delle amiche della signora, ma anche lì, mai che Nancy fosse pulita per bene, asciugata per bene.

Insomma: Nancy voleva essere un piatto. Un giorno, la piccola Meredith organizzò una festa per il te nel salotto, vicino alla cucina, Nancy la vedeva.

C’erano tutti: Ted l’orsacchiotto, Bolla la pesciolina, Carolina la mucchetta e perfino Mr. Scimmia. Solo che sul tavolo al quale tutti erano riuniti, mancava una teiera, quando la piccola alzò lo sguardo scorse la pregiata teiera, prese la scala e si arrampicò prendendola.

Giocarono tutto il pomeriggio. Era così contenta Nancy, si sentiva veramente apprezzata mentre giocava con Meredith.

Quando la bimba la prese tra le mani, sembrava che vedesse davvero i suoi piccoli occhi, per questo, Nancy, le sussurrò :”fammi diventare un piatto, esattamente come tu hai trasformato i tuoi peluche in ospiti perfetti”, ovviamente la bambina non rispose, magari non l’aveva neanche sentita e continuava a riempirla d’acqua e versarla nelle tazzine dei suoi ospiti. Nancy non sorrideva più. Anche la bambina non la poteva sentire.

Ma il peggio doveva ancora venire: La mamma entrò nel salotto. Quando vede la teiera nelle piccoli mani paffute della bambina quasi le venne un infarto.

La bambina per lo spavento allentò la presa e Nancy cadde, e come ogni oggetto di porcellana che incontra violentemente il pavimento, si ruppe in tanti pezzi.

Ci fu un lungo attimo di silenzio assordante. la bambina e la sua madre guardavano ciò che restava della bellissima teiera. quando Meredith alzò lo sguardo sulla madre, questa era ancora fissa sulla costellazione di cocci sul pavimento.

Una piccola lacrima bagnava il suo viso, ma non disse nulla. Prese la scopa e raccolse i frammenti sparsi per il salotto. Meredith intanto piangeva e supplicava il perdono della mamma, ma questa si limitò a sorridere e a buttare tutto nella spazzatura:”Non importa tesoro” disse. Non disse altro.

Il suo volto parlava da solo. Ma c’è un lieto fine: come finisce la storia? Che ora la nostra Nancy è in camera della piccola Meredith che l’ha ricomposta. Solo, che ora, è un bellissimo piatto di porcellana.

 

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