un racconto di Emanuela Coniglio
Ti dico che non è come le altre.-
-Dimostramelo allora – disse la ragazzina al nonno, che in preda a una delle sue, seppur rare, stravaganti manie di inventare cose, se ne stava in piedi, barcollante su una sedia vicino la credenza di cristallo.
– Ma bambina mia, non sempre le cose che accadono, sono visibili all’occhio delle persone-. Il nonno, che dal canto suo, di esperienza ne aveva collezionata molta, per raccontare una delle sue fantasmagoriche storie, era solito preferire i momenti in cui la nipote tornava da scuola. Alice, una frizzante e alquanto arguta bambina, o meglio, ragazzina di 9 anni, ogni giorno, alla stessa ora, usciva da scuola da sola. Percorrendo un viale tutto dritto, raggiungeva quella che per molti era una palazzina diroccata, per lei era semplicemente casa.
Una volta varcata la soglia del cortile esterno, Alice entrava dal portoncino che una volta, era stato di un blu cobalto simile al mare, mentre adesso era solo un portone piccolo e un pochino sgangherato, che nonostante gli anni passati, portava ancora a termine il proprio dovere, evitando che entrassero animali nello stabile, e in un certo senso proteggendo i segreti e le storie avvolte nella fantasia, del signor Raimondi, l’anziano nonno che per quasi 68 anni aveva avuto in gestione un antico e famigerato museo dei giocattoli, un’istituzione per quella piccola città avvolta nello smog.
Ogni giorno, quella ragazzina di appena un metro e venti, trenta se consideriamo la testa ricolma di capelli ricci, saliva al piano quarto, della palazzina al numero 50, per passare il pranzo e il relativo pomeriggio, a casa del nonno.
I due si tenevano compagnia, evitando alla famiglia Raimondi, di prendere una balia al nonno, e una babysitter per Alice.
Ogni pomeriggio il nonno provava, compiti permettendo, a raccontare una storia diversa alla nipote, un po’ perché lui di storie, ne aveva davvero tante in testa, un po’ perché credeva ancora nel valore della trasmissione. Per lui tramandare, era un lavoro prezioso che andava preso con la massima serietà, affinché le nuove generazioni, Alice compresa, comprendessero il valore della vita così come la percepivano. Non smetteva mai di ripeterle, che se lei oggi poteva vivere con le comodità che conosceva, era solo perché qualcuno, prima di lei, aveva lottato e lavorato per questo.
Quel giorno in particolare il nonno aveva fatto uno strano sogno. Un sogno che lo aveva riportato indietro di molti anni, in un tempo così remoto che faceva quasi fatica a ricordare con lucidità. Per paura di dimenticare prima della sera, prese il diario e l’astuccio della nipote e salendo con fatica sulla sedia in salotto, li nascose abilmente sopra la credenza di cristallo.
Nonno ridammi le mie cose – disse Alice mentre guardava il nonno dal basso verso l’alto.
Questo non è proprio uno di quei pomeriggi in cui vale la pena studiare tesoro mio .-
Nonno non vorrai ricominciare con una delle tue storie vero? Domani ho il compito di matematica, e non posso proprio sbagliarlo .-
Aiutami a scendere e ti prometto che varrà la pena ascoltare cosa ha da dirti questo vecchietto in bilico su una sedia – a quel punto Alice, impietosita dalla situazione, e abituata ai capricci del nonno decise che se lo avesse assecondato, avrebbe potuto rimettersi a studiare al più presto.
Va bene va bene, ma diamoci una mossa nonno, non ho tutta la giornata – disse un po’ scocciata la ragazzina.
Andiamo in cucina. È da lì che dobbiamo iniziare il nostro viaggio.- Un po’ titubante Alice segue il nonno per il corridoio fino alla cucina, che una volta era stata la zona sacra e invalicabile di nonna Agata, un luogo dove i profumi più inebrianti e i momenti più gustosi avevano avuto luogo. Ora che la nonna non c’era più, la cucina veniva usata pochissimo, il nonno infatti, preferiva di gran lunga scaldare il piatto del giorno che la nuora gli portava la mattina, nel fornetto in soggiorno, et voilà il pranzo era servito.
Allora, da dove comincio, ah si, no anzi no, vabbè ma forse è meglio…- pensava ad alta voce il nonno
– Nonno allora? Basta che cominci!- incalzava Alice.
Un attimo di pazienza tesoro, non sono così veloce come voi altri ragazzi sempre di corsa !-
Devi sapere, prima che comincio Alice, – e il tono della voce del nonno si fece subito più serio, – che quello che sto per raccontarti, non pensavo che lo avrei ricordato più. –
Mi dispiace ma non capisco a cosa ti stai riferendo- disse Alice alquanto incuriosita.
Devi sapere Alice, che quando io e tua nonna eravamo solo due giovani compagni di scuola, ci accadde una cosa molto strana, che mai mi era tornata più in mente fino ad oggi. Sento che questo è il momento giusto per parlarti di quello strano pomeriggio in cui io e tua nonna, che essendo anche vicini di casa, tornavamo da scuola, insieme, praticamente tutti i giorni, incontrammo a metà strada tra la scuola e il quartiere dove abitavamo, un signore alto e di bell’aspetto, cilindro in mano e bastone dall’altra. Rimasti pressocchè attoniti da quella figura alquanto strana, non facemmo in tempo a cambiare strada che quello subito tirò fuori dalla mantella che lo avvolgeva, uno strano oggetto, a metà tra una caraffa e un bollitore dell’acqua, una specie di teiera. Come se lo strano uomo avesse sentito i nostri pensieri, ci rispose subito che quella non era una teiera come le altre, era speciale.
Ci disse che lui non poteva più tenerla, e che doveva regalarla a qualcuno che come lui, sognava spesso, ma soprattutto che alla mattina successiva ricordava ancora una volta ciò che aveva sognato. Ma il nonno erano tre sere di fila che faticava a ricordare i suoi sogni, per questo era il momento che la teiera passasse a qualcun altro. – Questa teiera fa avverare i vostri sogni. –
Quello che potete sognare, potete farlo avverare! –
Semplicemente scrivendo, una volta svegli, il vostro sogno su un foglietto di carta, dopo averlo scritto mettetelo nella teiera et voilà, il sogno si avvererà!-
Dopo un attimo di pausa, il nonno, stanco per la fatica di essersi ricordato l’ultimo sogno sfocato della notte precedente, si accascia sulla sedia in cucina e guardando fissa la nipote attende una sua risposta. Alice, di tutto lo strano racconto del nonno, non ha chiara solo una cosa, e cercando le parole più giuste, prova comunque a trovare il coraggio di chiederlo: – Cosa è successo all’uomo col cilindro dopo avervi dato la teiera? – In realtà Alice nel momento esatto in cui il nonno aveva terminato il racconto, era stata percorsa da un brivido freddo, di quelli che ti arrivano con il vento freddo quando irrompe dalla finestra aperta.
Il nonno, commosso per l’argutezza della nipote, dalla quale era certo di aspettarsi sempre la domanda più opportuna, piegando la testa da un lato si avvicina alla chioma folta di Alice, e le sussurra all’orecchio quello che, era palese e allo stesso tempo così triste da dire a voce alta.
Con una lacrima che ormai le viaggiava sulla guancia sinistra, Alice abbraccia il nonno con una tale forza, da lasciarlo quasi senza fiato, uno di quegli abbracci che sanno d’amore e tristezza, un abbraccio fin troppo maturo per una ragazzina di nove anni.
Il nonno ormai stanco, felice di aver portato a termine il compito tramandatogli dall’uomo col cilindro, se ne va soddisfatto verso la camera da letto, felice di aver vissuto una vita piena di cose straordinarie, ma ancora più felice di sapere, che ora quella possibilità di vivere una vita straordinaria, lui l’aveva donata alla persona che, dopo la sua adorata Agata, era di gran lunga il suo amore più grande.
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